Nautica
Il sambuco
1380 d.C.
Percorsi evolutivi
Epoca Mar Rosso, Golfo Persico, Oceano Indiano, Italia
Utilizzo Velatura in cotone grezzo a ferzi verticali
Luogo 1380 - 1960
Caratteristiche commerciale
Materiali Vela latina araba tagliata quadra
Utilizzo
Tipologia dhow
Progettista
APPROFONDIMENTO
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Il sambuco, una delle più caratteristiche imbarcazioni dhow impiegate nel traffico mercantile, per secoli ha navigato nel Mar Rosso, nell’Oceano Indiano, nel Golfo Persico, lungo le coste bagnate dal Mar Arabico e quelle dell’Africa Orientale.

Cliffor W. Hawkins nel suo libro The Dhow,  pubblicato nel 1977 offre una panoramica ben dettagliata su queste imbarcazioni.

Il sambuco vanta origini antichissime e infatti gli storici lo considerano la prima imbarcazione di costruzione araba di nuova generazione, nata in seguito ai contatti con le caravelle portoghesi. Le caravelle, erano giunte nell’Oceano Indiano dopo le esplorazioni delle coste africane con i grandi navigatori soprattutto Vasco de Gama, che nel 1498, doppiando il Capo di Buona Speranza portò questi natanti nell’Oceano Indiano influenzando così notevolmente le costruzioni locali.

Nel sambuco è certamente ben presente l’influsso originario europeo, confrontabile con le più remote raffigurazioni della caravella a due alberi che risultava particolarmente manovrabile con venti variabili e adatta anche ai bassi fondali.

La lunga ruota di prua, la corta chiglia e il pescaggio minimo fanno del sambuco un’imbarcazione molto manovrabile, adatta a superare i banchi di sabbia. Lo scafo è caratterizzato da linee molto filanti con carena ben panciuta a centro nave e affusolata verso il dritto di poppa , ha in genere una lunghezza compresa fra i 16 e i 25 metri; ve ne sono di più piccoli molti simili ai shu’i, pontati solo a prua e poppa.

La vela latina araba non ha la classica forma triangolare da noi conosciuta ma è leggermente tagliata davanti, così da risultare quadrangolare. Il lato anteriore della vela risulta lungo circa 1/6 della caduta poppiera e consente un suo miglior utilizzo con i monsoni: all’occorrenza questa vela “latina” può dunque essere sfruttata quasi come vela quadra. Non è dotato di sartie.

Grazie al loro pescaggio minimo i sambuchi erano in grado di “piaggiare”: con la bassa marea la loro carena poteva essere facilmente ripulita dalle alghe e dalle incrostazioni, per poi tornare a galleggiare con l’alta marea.

La vela solitamente veniva sfruttata al massimo della sua potenza: a ogni bordo doveva essere messa nella posizione favorevole per potersi gonfiare eseguendo il “carro” ovvero manovra che consisteva nel passaggio della lunga antenna e della vela a prua dell’albero.

Questa imbarcazione poteva anche armare un fiocco a prua con l’utilizzo del lungo buttafuori o tangone che veniva impiegato anche come bompresso.

Impiegati in Mar Rosso e lungo le coste della Somalia settentrionale , i sambuchi costituiscono dunque le ultime navi da guerra con propulsione unicamente a vela in servizio attivo nella Marina Militare Italiana. Questi sambuchi di costruzione locale, del tipo classico, lunghi circa centimetri, con prua stellata e poppa quadra, risultavano veloci e maneggevoli, capaci di tenere il mare anche in presenza di forti Monsoni e notevolmente adatti al bordeggio.

CREDITS
Testi a cura di: Cristina Mazzola
FONTI BIBLIOGRAFICHE
Bargoni, Umberto: Sciaraff pilota di Sambuchi. Racconti dell'Oceano Indiano e della Foresta Somala.,Livorno, Raffaello Giusti, 1934, voll. pag. IX-187
FONTI DELLE ILLUSTRAZIONI

Fig.1-5: tratte da: http://www.pietrocristini.com